IL PROSSIMO PRIMAVERA SOUND SARà IL MIO PREFERITO

Nelle ultime settimane sono successe due cose molto interessanti, nel mondo della musica. O meglio, nel mondo che attorno alla musica costruisce discorsi, analizza e critica. Prima di tutto è uscito il nuovo disco di Taylor Swift, The Tortured Poets Department, ed è stato molto criticato come a dire che lo strapotere della cantante americana Person of the Year per il Time 2023 inizia a scricchiolare: forse il rapporto non è così diretto, ma in un’epoca storica in cui abbiamo rinunciato al concetto di critica, trovare il coraggio di ricominciare dal ‘bersaglio grosso’ vuol dire qualcosa se addirittura il New York Times si è espresso in termini non certo interpretabili (“Is it finally too much?”). In seconda battuta, si è tenuto della valle di Indio, California del Sud, il solito Coachella che però quest’anno si è attirato solo critiche negative per il livello della line-up, per lo strapotere del metatesto e del contesto sul testo (gli influencer e gli outfit al posto dei concerti) e per la centralità dedicata ad alcuni epifenomeni venduti come centrali quando invece si sono dimostrati solo esperimenti di vanità fine a sé stessa (sì, sto parlando del dj set di Grimes).

Ovviamente un brutto disco può capitare, così come può capitare un’edizione del festival meno felice rispetto alle altre. Ma le coincidenze non esistono e negli ultimi anni abbiamo visto l’esperienza musicale mangiata da tantissime faccende accessorie che pur essendo ormai in grado di governare, ogni tanto prendono il sopravvento rovinando una delle nostre cose preferite. Alla fine, chi se ne frega di Taylor Swift o del Coachella. Quello che ci interessa, come appassionati di musica, è che le esperienze per cui si vive la musica e per cui si decide di spendere (tanti) soldi siano degne di essere attraversate e siano in grado di trasformarci o di arricchire il nostro bagaglio e la nostra autobiografia. Non è romanticismo, è che di questi tempi una cosa tanto vale farla bene. Se no, parafrasando Keith Richards, tanto, tanto vale andare a pescare.

I festival musicali sono uno dei miei ‘momenti’ preferiti. Credo che nello scenario che abbiamo visto costruirsi passo dopo passo, anno dopo anno, streaming dopo streaming, siano la contraddizione e l’approssimazione più degna e vicina a un non meglio precisato ‘spirito originario’ dell’esperienza musicale. Dove il contratto tra chi organizza e chi partecipa è chiaro. Dove le band e gli artisti capiscono il patto che li lega a persone che non sono spettatori o non sono semplicemente pubblico, ma sono una vera e propria comunità che trova in quelle espressioni, quelle consuetudini e, sì, anche quelle retoriche un significato profondo e una connessione tra di loro e con la musica che si sta manifestando sul palco.

Chi legge le pagine musicali di Esquire sa che da qualche anno racconto il Primavera Sound dalla prospettiva di chi ci va da tanti anni, ne ha viste edizioni belle e brutte, ha visto il momento in cui a Barcellona l’indie lasciava spazio sempre di più alle contaminazioni fino all’arrivo del mainstream, e ha visto il suo festival preferito rischiare di diventare un monolite troppo grosso per sostenere il suo stesso successo. In musica non vale il detto americano per cui when in trouble, go big. Semmai il contrario: when in trouble, ritrova la tua identità.

Dopo le edizioni monstre con nomi di punta che appartenevano al reame del pop (e qui non ne faccio un giudizio di valore, semmai un discorso di coerenza artistica) capaci di attirare tantissime persone che non erano interessato tanto all’esperienza del testo quanto all’esperienza del contesto – da qui la profusione di outfit e di stories da mettere su Instagram – il festival più importante d’Europa ha parzialmente invertito la rotta cercando di ricalibrarsi su quello che ha sempre saputo fare meglio e parlare al suo autentico ‘popolo’. Del resto, la politica ti insegna che il segreto di qualsiasi campagna di successo è tornare a far votare i propri elettori storici, quelli che non si bevono le promesse elettorali.

Se l’anno scorso si è trattato di un festival un po’ minore, con pochi momenti davvero fenomenali ma una qualità media estremamente alta e alcuni picchi assoluti per quanto non immediatamente riconducibili all’indie (ad esempio il clamoroso concerto di Kendrick Lamar), quest’anno le premesse sono quelle di un festival che ritorna a parlare la lingua comune di una comunità che vuole ritrovarsi, riconoscersi, fare il punto della situazione, scoprire l’inatteso e tornare a casa arricchita – e anche scossa – rispetto a com’era prima.

Per questo la line-up dell’edizione del Primavera Sound 2024, che si terrà a Barcellona dal 29 maggio al 2 giugno nel solito Parc del Forum, sembra essere tornato a raccontare l’indie per come è, e probabilmente per come sarà.

A partire da uno dei momenti più attesi, la reunion dei Pulp, e il ritorno di pesi massimi come The National, Vampire Weekend e PJ Harvey; la rivelazione di una ritrovata Lana Del Rey e la consacrazione di nuove paladine come Mitski, il festival prova a rimettere in gioco un livello del vivere e essere indie che forse è anche consolazione per essere ormai un po’ invecchiati (vedi la presenza di American Football e Bikini Kill, Yo La Tengo e Deftones), ma di sicuro tiene fede a una volontà di scoperta e aprirsi al mondo che non vuol dire ‘cercare l’approvazione del mainstream’, ma tornare a cavalcare la ricerca post-coloniale per far conoscere culture diverse e lontane dalla tradizione anglo-americana, da sempre cavallo di battaglia del festival fin dalla sua antica collaborazione con l’All Tomorrow’s Parties - Obongjayar, Atarashii Gakko! – o la ricerca verso nuove sonorità (come Shabaka o Romy).

Anche in questo caso il diavolo sta nei dettagli, e nonostante la presenza di trapper spagnoli – del resto la quota Rosalia come più importante fenomeno pop catalano dai tempi del Barcellona di Guardiola va onorata, giustamente – sembra tutto piuttosto bilanciato con le premesse di un’edizione che per lo meno rimette sulla carta le cose come stanno. Il festival come luogo della scoperta e Barcellona come momento per fare il punto della situazione, come è sempre stato.

Poi sicuramente qualcuno più interessato a Instagram e TikTok ci sarà, così come qualcuno che deciderà la sua line-up sulla base degli streaming su Spotify: fa parte del gioco, ma avendo accettato la contraddizione, è giusto giocare. Gli abbonamenti e i biglietti per i singoli giorni sono ancora disponibili, assieme a tutte le informazioni di cui possiate necessitare, su www.primaverasound.com.

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