DAL WEB AI NEGOZI FISICI LA PUBBLICITà CONQUISTA I LUOGHI DELLO SHOPPING

In America l’hanno battezzata la battaglia degli schermi. Che poi nasconde quella per l’attenzione di un consumatore connesso e distratto. Si disputa tra i due colossi Amazon e Walmart. Quest’ultimo è sceso nell’arena competitiva sfidando a singolar tenzone il gigante di Seattle con l’acquisizione di Vizio, produttore di Tv che attualmente si posiziona al nono posto nel mercato mondiale. Un’operazione da 11,50 dollari ad azione per un totale di 2,3 miliardi di dollari. Un passaggio di proprietà che non riguarda solo i televisori, ma anche la piattaforma che conta 18 milioni di account attivi e che veicola messaggi pubblicitari. Ancora una volta si va verso la media company. «Tra aziende ed editori è il mondo sottosopra dei media», aveva affermato in passato Joshua Benton, a capo del Nieman Journalism Lab dell’Università di Harvard. Ma oggi c’è qualcosa in più. Walmart vuole creare nuove opportunità per mettere in comunicazione gli inserzionisti con i clienti, offrendo modalità innovative che includono l’intrattenimento tra le mura domestiche. In fondo nella spesa al dettaglio vuole ridurre il vantaggio di Amazon, che detiene una quota del 37% in elettronica ed elettrodomestici, mentre quella di Walmart è al 6 per cento. 

Così il retail media orienta le scelte, rafforza le relazioni e fidelizza la clientela. Il retail media è una forma di pubblicità in cui i brand pagano per posizionarsi in spazi privilegiati all’interno di piattaforme di vendita al dettaglio, sia online sia nei punti vendita fisici. Questo approccio trasforma i punti vendita in canali pubblicitari, permettendo ai marchi di raggiungere i consumatori nel momento più vicino all’acquisto. In ambito digitale, ciò include annunci sui siti e-commerce mentre nei negozi fisici, include tra gli altri display pubblicitari e scaffali dedicati. Il mercato potenziale entro il 2025 varrà 130 miliardi di dollari secondo gli analisti di Morgan Stanley, occupando il 25% della spesa pubblicitaria online complessiva. L’Europa investe già 7,9 miliardi di euro ed entro il 2027 arriverà a 25 miliardi per Iab-Statista. Attualmente il peso del segmento sull’adv digitale è al 10% (con l’Italia più o meno in linea al 9%), ma arriverà al 21,5% nei prossimi tre anni. Una partita che si gioca a tutto campo, non solo sul digitale. «Viviamo in un contesto di ipercomunicazione che impone alle aziende di catturare l’attenzione dei consumatori. Il retail media all’estero ha avuto uno sviluppo notevole, ma anche in Italia c’è fermento: diverse insegne stanno testando strategie, progetti, alleanze. È un approccio che coinvolge diverse funzioni aziendali e team multidisciplinari. È un fatto decisamente nuovo», afferma Vittorio Cino, Direttore di Centromarca, associazione italiana dell’industria di marca che ha deciso di lanciare anche un osservatorio per monitorare lo sviluppo del retail media, che diventa rilevante lungo tutta la filiera, dai canali analogici a quelli digitali. «Creare contenuti personalizzati per intercettare uno shopper specifico e interessato è un vantaggio che nessuno oggi può permettersi di sottovalutare. Vantaggio che – nel caso del retail media – dipende dalla possibilità di disporre di dati dettagliati sui comportamenti degli shopper forniti dai retailer. Può consentire di distribuire messaggi mirati con precisione e con un aumento delle conversioni», precisa Cino. 

Al centro c’è il valore del dato in un momento di passaggio da quelli di terza a quelli di prima parte. «Per i retailer si tratta di un nuovo business. In un mercato pubblicitario cookieless i dati di prima parte diventeranno merce preziosa per chi vuole entrare in contatto con il consumatore. E i distributori hanno un patrimonio di informazioni sui clienti per costruire una comunicazione personalizzata e potenzialmente vincente. C’è poi il vantaggio di misurare il ritorno di investimento rispetto ai media tradizionali e l’impatto sul media mix», dice Cino.

In America sono scesi in campo Amazon, Walmart, Kroger. In Europa insegne come Leclerc, Alcampo, Asda, Lidl, Rewe, MediaMarkt, Sephora e Carrefour, che da poco ha siglato un’intesa con Publicis creando Unlimitail, prima centrale di retail media che consente una gestione integrata dell’offerta. C’è poi l’alleanza tra Tesco e Dunnhumby, leader della customer data science applicata ai retailer. Così la comunicazione diventa verticale, personalizzata e potenzialmente vincente. Il valore aggiunto sta nei dati con formati e messaggi su misura. «Investire nel retail media conviene per un mix inedito di opportunità e criticità. La prima si chiama dati, la seconda è legata ai disturbi nella connessione dei brand con il consumatore disorientato in una sovrabbondanza di stimoli. Ristabilire una connessione è la missione e il retail media è la soluzione», afferma Alberto Mattiacci, professore ordinario di economia all’Università La Sapienza e coordinatore dell’area marketing alla Luiss Business School. Emerge una nuova generazione di marketer. «Questa nuova era delle relazioni di scambio nel post-consumo richiede una mentalità nuova e il recupero di competenze base come quelle legate alle ricerche, oltre all’integrazione di quelle digitali. Se c’è valore nella proposta, il consumatore la premia. Ma bisogna superare gli errori del passato, quando il marketing si è annichilito a favore dei risultati commerciali», dice Mattiacci. Autenticità e trasparenza: ecco le bussole che devono orientare la nuova fase del commercio.

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