NELLA «DEMOCRAZIA DEL PUBBLICO» SI VOTA INNANZITUTTO LA PERSONA CANDIDATA

In Italia, dalla metà degli anni Ottanta, i leader politici sono traslocati prima nei talk-show e poi nelle trasmissioni di intrattenimento per ballare, cantare, cucinare, nel tentativo di apparire più vicini (o più simpatici) ai loro potenziali elettori. Un cambiamento che rifletteva l'affermazione di quella che è stata chiamata «era del narcisismo». Si spettacolarizza la società (come aveva previsto Guy Debord nel 1967) e si spettacolarizza la politica (come aveva previsto Neil Postman nel 1986).

Negli Usa, cominciò Reagan. In Italia, Berlusconi

L'aveva capito già nel 1966 il presidente-attore Ronald Reagan: «La politica è come un'industria dello spettacolo». Da noi, la spettacolarizzazione della politica ha subito un'improvvisa e irreversibile accelerazione con la discesa in campo 

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esattamente trent'anni fa, di Silvio Berlusconi.

Essa, nel bene e nel male, ha influenzato profondamente la politica italiana, riproponendo con forza il tema della leadership personale e del partito personale. Lo scopo di questa nota non è quello di stilare un bilancio di quella stagione politica, su cui anche in queste ore si stanno versando fiumi d'inchiostro. Non c'è dubbio, tuttavia, che la micidiale invenzione di un'arma organizzativa senza precedenti ha richiamato l'attenzione sul fatto che il genus del partito personale non era monopolio esclusivo di Berlusconi. Stava attecchendo rapidamente sul fertile humus del Bel Paese, con variazioni sullo stesso tema: il capo come origine e identità del partito politico.

L’irruzione di Craxi e il successo di Mariotto Segni

In Italia, un primo esperimento si ha con l'irruzione nella scena nazionale del socialista Bettino Craxi, che cercherà di spostare il dibattito e lo scontro tra i partiti dalle segreterie ai loro leader. Ma il primo leader italiano che si può vantare di aver costruito il suo successo facendo leva esclusivamente sulle proprie doti di comunicazione, e sul messaggio di cui era portatore, è Mariotto Segni. Il trionfo del movimento referendario nei primi anni Novanta si identifica ampiamente col suo nome e segna una vera e propria rottura nella storia della Prima Repubblica. Da quel momento, per fasce sempre più ampie di elettorato, il voto al leader diventerà un'opzione, e una tentazione, molto forte. I primi ad approfittarne, su larga scala e in modo sistematico, saranno i sindaci eletti, a partire dal 1993, con una nuova legge maggioritaria. Il piccolo schermo delle televisioni locali ospita per la prima volta i duelli all'americana tra i candidati.

La sinistra si tiene lontana dal Web. E sbaglia

Nel momento, però, in cui dal piano locale si passa al piano nazionale, la musica cambia. Soprattutto per la sinistra, quando deve misurarsi con quel mattatore mediatico che è Berlusconi. Detto altrimenti, nel momento in cui deve interloquire con una piazza virtuale in cui la forza del messaggio si identifica essenzialmente con la capacità comunicativa, nella leadership della sinistra prevale il riflesso oligarchico, la tendenza a ritrarsi su se stessa, sulle certezze della propria identità. Un meccanismo che la terrà lontana dalla Rete, percepita come un mondo non gestibile, proprio negli anni in cui il Web comincia ad affermarsi come un formidabile canale di mobilitazione e di propaganda.

Grillo e Renzi, due cicloni per i rispettivi schieramenti

Al di là del giudizio che si può dare sul loro spessore politico e culturale, non c'è dubbio che Beppe Grillo e Matteo Renzi si sono abbattuti come un ciclone sull'incapacità dei vertici dei rispettivi schieramenti politici di adeguarsi alle regole della «democrazia del pubblico» (l'espressione è del politologo francese Bernard Manin), dove non si vota più tanto il partito e il programma (come avveniva nella «democrazia dei partiti»), ma si vota innanzitutto la persona. Qui inizia sul serio la storia di quella che, pur impropriamente, viene chiamata Seconda Repubblica. Il resto è cronaca.

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