I VIDEOGIOCHI? «POSSONO DIVENTARE TERAPEUTICI»

Giocare ai videogiochi non sempre fa male e, anzi, a volte è persino terapeutico. A dirlo è un gruppo di ricercatori delle università di Bergamo e Padova, che ha firmato uno studio sugli effetti benefici dei videogame d’azione sulla capacità di gestione del linguaggio nei bambini piccoli, a rischio dislessia.

La ricerca s’intitola Action video games normalise the phonemic awareness in pre-readers at risk for developmental dyslexia, ed è stata pubblicata sulla rivista NPJ Science of Learning, appartenente al gruppo Nature. L’articolo spiega che i videogame d’azione - quelli in cui il protagonista deve affrontare corse e salti, combattere contro gli avversari, esplorare e risolvere enigmi in tempo reale - possono migliorare la capacità di riconoscere e lavorare con i suoni distintivi della lingua, tecnicamente chiamati «fonemi».

In particolare - ha rivelato lo studio - i videogiochi di azione funzionano per i bambini piccoli che ancora non sanno leggere ma che già mostrano i sintomi di un possibile sviluppo futuro della dislessia. I ricercatori hanno lavorato su un campione di 120 bambini a rischio, tutti con cinque anni d’età. Ai bambini è stato dato un joystick, un videogioco d’azione commerciale e un compito semplice: giocarci per 20 volte per almeno 45 minuti. Ebbene, dopo questa terapia, l’80% degli esaminati ha imparato a riconoscere i fonemi e a lavorare con i suoni che compongono le parole: un’abilità che sta alla base dell’apprendimento della lettura e la cui mancanza è invece tra le cause della dislessia.

«I videogiochi d’azione sono molto rapidi - spiega Sara Bertoni, ricercatrice dell’Università degli studi di Bergamo e prima autrice dello studio -, con stimoli che compaiono velocemente e in modo imprevedibile sulla schermata. Giocarci è un bell’allenamento per l’attenzione, che deve focalizzarsi continuamente su un’area diversa. Inoltre, il meccanismo del rinforzo, quello per cui si ottengono punti o monete come ricompensa per un compito completato, rende più proficuo l’apprendimento. Quello che ci ha sorpreso però è l’efficacia cross-modale dell’esperimento. Mi spiego: i videogame sono basati su abilità visive e i suoni presenti sono soltanto di contorno; eppure favoriscono un miglioramento di natura uditiva. Ai bambini esaminati dicevamo due parole leggermente diverse come “paca” e “baca” e chiedevamo loro di dirci se sentivano lo stesso suono oppure no; anche chi all’inizio non rispondeva correttamente, dopo il trattamento ha ottenuto un miglioramento e lo ha poi mantenuto a distanza di 6 mesi».

La scoperta è promettente soprattutto perché normalmente sulla dislessia si agisce tardi, intorno agli 8-9 anni, quando il disturbo viene diagnosticato ed è ormai visibile. Lo studio invece offre una misura di prevenzione, tra l’altro facile da applicare e per niente stressante per i pazienti. «Ora - aggiunge Bertoni - stiamo studiando per capire se i videogame, in misura limitata e sotto il controllo di un esperto, possano potenziare le abilità di lettura anche dei bambini che non rischiano di sviluppare un disturbo dell’apprendimento. Sarebbe interessante proporre a tutti uno strumento che fa bene ma anche divertire».

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