Dopo aver fatto ballare tutta l'Italia (Sanremo compresa) ora Gabry Ponte proverà a far leggere tutte quelle persone che non vogliono fermarsi all'uomo Dj e producer, quello capace di riempire San Siro il prossimo 28 giugno.
Gabry Ponte ha scritto la sua prima autobiografia: Dance&Love, la mia musica, la mia vita. Un libro diviso in due. C'è un lato A (la carriera) e un lato B (la sua vita personale).
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Ed è proprio in questo secondo lato che conosciamo l’altro Gabry quello con un papà re dei campeggi estivi e una mamma volata in cielo troppo presto per colpa di un’auto che la travolse accidentalmente. Gabry aveva appena otto anni: «Mi dicevano - racconta in un'intervista a Specchio - che mamma non c’era più, ma io non capivo: ero troppo piccolo».
Un bambino schivo, cresciuto da solo con tanta rabbia. «Non sono mai stato, né credo sarò mai, come mio padre che era un gran chiacchierone, amava stare in mezzo alla gente. Io sono più silenzioso: ancora adesso, quando mi presentano qualcuno, sto sulle mie e purtroppo questa timidezza viene spesso confusa con un atteggiamento di disinteresse». E la rabbia? «Il tempo porta la pace: piano piano è andata stemperandosi finché, quattro anni fa, sono diventato papà. Lì ho sentito che un cerchio si stava chiudendo. È come se mia figlia fosse riuscita a colmare quel vuoto di amore che mi trascinavo dietro».
Sarà perché Gabry è «un appassionato di fisica, l’ho studiata all’università, ma sono credente. (...) Penso esista qualcosa dopo la morte e che ci sia un Essere che veglia su di noi».
Ha studiato per merito di suo papà. Un papà molto presente nella sua vita. «Papà mi ha insegnato “a farmi il mazzo”. Con me e mia sorella era esigente: un uomo severo ma giusto, che era l’esatto opposto dell’amicone solare e spensierato che vedevamo fuori casa. Probabilmente sentiva il peso della responsabilità di doverci tirare su da solo. Il suo mantra era: “se desideri una cosa, te la devi guadagnare” e di questo insegnamento gli sarò sempre grato perché la realtà è una grande maestra di vita».
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A Specchio, Gabry Ponte spiega anche perché da bambino stava antipatico (nel libro scrive altro) a chiunque. "Ma non posso dire - scrive ancora lui - che mi interessasse o che ne soffrissi: era un dato di fatto”. E oggi non gli interessa nemmeno piacere a tutti. «Io facevo musica per fare musica: non mi interessava nient’altro, tant’è vero che manco guardavo quello che firmavo nei contratti discografici. Oggi invece nove ragazzi su dieci scelgono questo mestiere per i soldi o per la fama ed è un problema: se questo è il tuo obiettivo, probabilmente non lo realizzerai mai e, se anche ci riesci, sarà un potenziale disastro, perché è facilissimo perdersi. La mia fortuna è stata avere un produttore discografico come Massimo Gabutti: un secondo padre. Non mi fomentava e mi teneva con i piedi per terra: se serviva, mi rimproverava anche duramente», confessa al collega Francesca D'Angelo.
E sull'ultimo posto all'Eurovision Song Contest 2025 ci ride su: «Meglio così che penultimo: almeno se ne parla. (...) Io invece sono arrivato senza cantare e senza ballerini: ero la pecora nera del gregge. Bisogna accettare di perdere, non si può avere sempre tutto perfettamente in bolla. Detto questo, sono tornato a casa con una visibilità maggiore: il brano Tutta l’Italia ha quadruplicato gli stream in una settimana e dall’estero mi stanno cercando per nuove collaborazioni».
Ultima domanda di Specchio: A 52 anni riempie San Siro e fa ballare gli adolescenti. Sindrome da Peter Pan? «Il mio lavoro mi spinge a essere mentalmente settato sui 25/30 anni: i ritmi sono gli stessi della prima tournée con gli Eiffel 65, solo che ora li smaltisco più lentamente. Però non ho la sindrome da eterno ragazzino: sono in pace, ogni età ha i suoi lati positivi...».
2025-06-09T13:07:43Z